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Martedi 16 aprile 2013 | Maria Lai: l'arte è gesto, sguardo, respiro |
Omaggio a Maria Lai, una delle più importanti artiste del Novecento, scomparsa il 16 aprile all'età di 93 anni. Articolo di Rossella Porcheddu.
Stretto tra le montagne, Ulassai l’ha vista nascere, partire e tornare. Aperto verso il mare, Cardedu, ha accolto i suoi disegni di bambina, la sua vita da adulta, e l’ha vista spegnersi, il 16 aprile 2013, all’età di 93 anni. Il cammino di Maria Lai inizia in Ogliastra, continua a Roma, passa per Venezia, si espande dall’isola alla penisola, dall’Europa agli Stati Uniti, luoghi che hanno accolto tele di stoffa e bambini di terracotta, installazioni di legno e d’acciaio, interventi site-specific e scenografie. Per un’arte che supera la dimensione locale e si fa universale, forte del legame con la terra d’origine, erede e custode, negli spazi della Stazione dell'Arte, del pensiero e della materia, dei giochi e della ricerca. «Giocavo con grande serietà e a un certo punto qualcuno i miei giochi li ha chiamati arte» amava dire l’artista sarda, legando saldamente dimensione ludica e rigore costruttivo. Una storia di viaggi e di incontri, dall’amicizia con il poeta Salvatore Cambosu, che iniziandola allo studio della metrica le insegna a seguire il ritmo, agli studi romani con Marino Mazzacurati, al rapporto difficile con lo scultore Arturo Martini, che all’Accademia di Venezia la spinge a rifiutare la forma piena, a suggerire respiri. Un bisogno di scavare, attingere alla tradizione e alla memoria, raccontare il legame tra individuo e comunità, tirare linee oblique, proiettare l’attenzione oltre lo spazio, alludere all’infinito, all’universo. Un’urgenza di dialogare con il proprio tempo, ridefinire l’arte contemporanea. Aprire uno spiraglio alla coscienza, aspirare alla contemplazione, al silenzio. Molte le domande, tanti i dubbi, molteplici le strade percorse. Dalle forma chiusa allo sconfinamento nell’ambiente, tra scarpate e grandi pareti, dai libri alle tele cucite, dalle installazioni alle performance collettive. Da “I luoghi comuni a portata di mano”, mazzi di carte bianchi e neri, codice di lettura, stimolo alla riflessione, a “Invito a tavola”, metafora dell’arte come nutrimento per la mente. E ancora fate di stoffa, alberi d’ulivo e di parole, grovigli di fili e leggende. Opere offerte come cibo da assimilare, opere che scuotono la società e destano dal torpore l’uomo contemporaneo, quello che passa distratto nelle sale dei musei, incapace di far scorrere lo sguardo, di comprendere, digerire, rivivere. Impossibile, nel ricordare Maria Lai, non ritornare a quel 1981 che ha visto la comunità di Ulassai coinvolta in un’azione corale, “Legarsi alla montagna”, ispirata a una fiaba antica: una bambina, recatasi sulla montagna per portare cibo ai pastori, rinchiusi in una grotta a causa del temporale, si salva dalla morte inseguendo un nastro azzurro, mentre il solido rifugio seppellisce i pavidi compaesani. Ventisei chilometri di tessuto di jeans hanno stretto le case fra loro e legato l’intero paese alla montagna, per chiedere pace. Chi si mette al riparo, sordo ai richiami esterni, si preclude vie di fuga e di conoscenza. Stimolo a uscire dalla propria quotidianità, il nastro è simbolo dell’arte che può rendere gli uomini liberi [Rossella Porcheddu].
Tags Maria Lai | Stazione dell'Arte | Ulassai
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Maria Lai, courtesy www.stazionedellarte.it |
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Maria Lai, courtesy www.stazionedellarte.it |
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Maria Lai, Legarsi alla montagna |
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Maria Lai, Legarsi alla montagna |
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